martedì 21 agosto 2018

The Apartment

Nel cubicolo che l'inserzione glorificava come bagno padronale una goccia molesta rimbalza ritmicamente sul fondo della vasca. Prende velocità vorticando sull'orlo del rubinetto per poi gettarsi con grazia cadenzata verso l'oblio dello scarico malmesso. 
Un piccolo rumore che viene amplificato nella stanza vuota, l'eco che si disperde oltre la porta. Il pavimento è completamente allagato, tengo i piedi in una pozza di acqua profumata di bagnoschiuma di pessima qualità. 
Il vapore ha reso inservibile il grande specchio sbrecciato sopra il lavandino di ceramica, lo pulisco con il palmo della mano sapendo che non si fa così, che è sbagliato. Ma è l'unico modo per gettare un'occhiata realistica a quello che sono oggi. 

Una lunga serie di lividi rossi scende dal collo in direzione del seno sinistro, stanno già virando all'azzurro, assumeranno sfumature verdastre a breve per poi scomparire. Ho un taglio sul labbro inferiore, un brutto taglio che deve aver sanguinato parecchio anche se al momento sono letteralmente esangue. L'abbronzatura si è disciolta in un pallore cadaverico che sottolinea lo sguardo acceso e quasi demoniaco. 
Non c'è molto di aggraziato in ciò che sto vedendo, sembro un predatore uscito da un brutto scontro con un soggetto che  nella catena alimentare è posizionato ben più in alto di me. 
Mi giro per controllare la schiena, i capelli lunghi non riescono a nascondere il corollario di graffi che la decorano fino alle reni. 
Fa male tutto, i muscoli indolenziti gridano vendetta, nemmeno il bagno tiepido è riuscito ad ammorbidire le contratture. 
La finestra socchiusa lascia intuire il cielo plumbeo che grava sulla città, le sfumature rossastre che hanno contaminato mura e strade come un virus letale. 
Il cellulare vibra rischiando di cadere dal piccolo lavandino. L'agente immobiliare mi chiede se va tutto bene. 

Tutto ok, non va bene niente. Dobbiamo parlare. 

E poi, all'improvviso, il corpo si risveglia e mi urla che ha fame, che deve essere nutrito. E' da ieri che non mangio, ho consumato tutte le energie fisiche e mentali nel combattere la paura di soccombere. 
Cedere è già stata una sconfitta. Il dolore alle costole mi ricorda che ho faticosamente perso una battaglia. 
Esco imboccando a caso il corridoio di un'appartamento che non conosco, che ho esplorato per tutta la notte ma che non è mio. Mi avvolgo in un lenzuolo bianco, trovato sopra il letto, come  un lungo peplo mi copre e mi scopre mentre torno in camera, dove lo abbandono al suolo cercando il predatore nella penombra. 

" Io ho fame, tu?" 










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